Tornare a Genova

Allora pare che nessuno se la senta di venire a Genova, neanche a fare una scappata al famosissimo e innocentissimo acquario. Capiscono che c’è dentro l’acqua e disdicono. Sì, lo sento anch’io che è così. Mi chiedono a Lecce dove devono spedire un cartone di rosato salentino e quando gli dico, a Genova, quelli abbassano gli occhi e fanno: Ah, Genova. Mi ferma a Faenza un signore a me ignoto, mi chiede, ma lei è di Genova, vero? Sì che sono di Genova. Ah, mi dispiace, mi dispiace, fa lui. Quanti ne ho sentiti di ah dall’ultima alluvione. E c’è dentro un sacco di roba in quegli ah. Partecipazione e dispiacere, lutto e costernazione. Anche un po’ di meravigliata ammirazione, anche un po’ di muta esecrazione. E chissà cos’altro. E io che rispondo? Niente, cosa gli vuoi dire? Questi si sono convinti che Genova è una città perduta, governata da criminali avvezzi a tornare sul luogo del delitto e abitata da una massa di anime purganti e da uno stormo di angeli.
Sarebbe anche ora di finirla. Lo dico perché io a Genova ci torno tutte le settimane e, sì, faccio anch’io tutte le volte ah, ma è un altro ah, non è quello lì.
Ah, mi dico quando sbarco a Brignole, prendo via XX, scendo da San Lorenzo, entro in Campetto, passo per le Vigne e infilo la chiave nella toppa di piazza dei Greci. Ah, eccoti qua, sei viva città della mia meraviglia. Perché, diomio, è viva questa città, lo è tuttora, lo è sempre stata da quando l’ho incontrata, nel suo modo stupefacente e antistorico, viva dopo ogni cosa e ogni epoca, viva contro le molte buone ragioni che la vorrebbero andata da un pezzo. E non dall’ultima alluvione, ma dall’ultima guerra, dall’ultima crisi, dall’ultima amministrazione, dall’ultima epoca. Sono vivi i suoi muri, sono vivi i suoi abitatori, sono vivi i suoi giardini, sono vive le sue crose, vive quando salgono e vive quando scendono, è viva la sua luce. È ancora la città più lucente del Mediterraneo, con tutto quello che è piovuto è ancora così, basta che smetta un giorno. Già, è piovuto parecchio quest’anno, e l’acqua ha portato giù il fango e il fango le sue vergogne. Ma si è ripulita da sola questa città, come tutte le altre volte che in mille anni ha dovuto mettersi a ripulire.
Questa città non la si conosce se si guarda dove dicono i depliant, e non ci si capisce niente se si va dietro l’obiettivo di una telecamera. Questa città non è Disneyland, non è fatta per farsi consumare dallo sguardo di un giorno, e non è nemmeno fatta per essere buttata giù e ricostruita sul tema del giorno. Questa è una città luterana, la sua vita è vita interiore, la sua bellezza è stata fatta per sé, per chi guarda dentro, per chi la sa abitare. E le sue brutture l’hanno afflitta, certo che l’hanno afflitta, ma non l’hanno dissolta. Sono anni e anni che io prendo, lascio le note sciccherie del centro e me ne vado in giro per le periferie, in quei posti maledetti che fanno vedere in tv. Mica vado a cercare l’inferno, ma, che lo crediate o no, c’è bellezza anche lì. Perché niente nella città di Genova è semplice e definitivo, a parte il suo esistere e il suo perdurare nelle epoche, ma ogni cosa è sempre più grande di uno sguardo solo. Nei quartieri della speculazione i genovesi si sono fatti orti e giardini dove non dovrebbe essere possibile, ma ci sono. E hanno aperto varchi e messo sedie di casa per godere dell’orizzonte marino, dell’infinito orizzonte meridiano che dà luce al cuore e specifica che c’è l’infinito. Dovrei dire, prendete la metro fino alla Certosa e salite la crosa della Pietra, che va su per i terrificanti anfratti e i mostruosi gigantismi del viadotto del Polcevera, e guardate dove vi porta, a che sito a che panorama, a che inaudita bellezza, abitata e mantenuta, viva della gente di Genova. Ma chi se la fa una scarpinata così, chi lo verrà mai a sapere che ne vale la pena? Allora, siccome è più facile, andate in via XX, al ponte monumentale, lì ci sono i portici e anche se piove non ci si bagna. Alzate gli occhi alla targa che riporta il testo della resa delle truppe tedesche firmato il 25 aprile del 1945. Assieme alla firma del comandante tedesco non c’è quella del generale Montgomery e del generale Clark, ma c’è quella di tre cittadini genovesi. Genova s’è liberata sa se sola. Perché è così che pensa di dover fare dalla peste del Trecento in qua. E, con tutto quello che se n’è parlato, se venite a vedere gli angeli del fango, non li troverete. Non ce ne sono, Genova non è la città degli angeli. Ci sono i discendenti dei liberatori del ‘45 e di quelli che sono venuti prima, solo giovani uomini e giovani donne, giovani cittadini, non sapreste come distinguerli. E solo questo, anche solo questo è una bellezza.
In casa mia c’è una perdita d’acqua, già. E non si riesce a capire da dove viene. Il fatto, documentato dagli annali del condominio, è che quella perdita è nota sin dal 1874. Le fondamenta della mia casa sono vecchie quanto la Repubblica, quasi millenarie, la perdita va e viene, c’è e poi non c’è. Non è noioso vivere in quella casa, non è nemmeno incomodo. Ci si vive bene e in salute mi pare, tutti quanti. Non è sempre vero dunque che dai e dai l’acqua finisce per consumare la pietra, Genova è troppo complicata anche per le consolidate leggi del senso comune. E non è bellezza questa? Ah.