Inni

L’altra mattina me ne andavo bel bello per le vie di Bologna –ma come si fa a scrivere senza un po’ di vergogna “bel bello”? Beh, tenendosi dietro al Manzoni- quando mi pervadono altisonanti e fiere seppur rudimentalmente amplificate, le note dell’Inno a Roma. Quell’inno ha una bella musica d’occasione, l’ha scritta Giacomo Puccini e ha un testo piuttosto bruttino, malamente arraffato da Orazio “sole che sorgi libero e giocondo… tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma…”, comunque piaceva tantissimo a Benito Mussolini e divenne l’inno delle manifestazioni ufficiali del regime, da lì è finito come sigla d’apertura dei comizi di Giorgio Almirante buonanima, e lì è l’ultima volta che l’ho sentito, prima di ieri l’altro a Bologna. A inanellarlo nella fredda e umida aria della città provvedeva una camionetta del gruppo politico neofascista Forza Nuova che propagandava la manifestazione del pomeriggio. E va bene, mi son detto, non è un bel sentire, ma loro un inno ce l’hanno, e una bandiera, e una voce, oltre alle mazze per menare s’intende, ma dove sono nelle città gli altri inni, le altre voci, le altre bandiere? Ci sono state, adesso è silenzio; no, non è solo silenzio, è vuoto, sarò anche un romantico, ma se non hai una canzone, una bandiera e una voce per la gente che passa per le strade, che si ferma nelle piazze, che entra negli uffici, che esce dalle fabbriche, che sciama nelle scuole, vuol dire che non hai nemmeno un’idea da propagare, una battaglia da combattere e magari vincere, un’identità da  palesare, vuol dire che sei da un’altra parte ad altro intento, oppure, semplicemente, non sei. A parte militanti della Lega e neofascisti, non ho ancora trovato nessuno che abbia avuto il coraggio di mettermi in mano un volantino elettorale e provare a convincermi di qualcosa, non ho ancora sentito nessuno che provasse a parlare in una pubblica piazza con alta voce e chiare parole di qualcosa che mi aiutasse a decidere se e come votare. In verità, se non un inno, una voce e una bandiera qualcuno la espone, infatti nel pomeriggio attorno al comizio dei neofascisti ci sono stai scontri tra polizia e giovani “antagonisti”; la militanza antifascista degli antagonisti si compendia nell’impedire ai neofascisti di esistere pubblicamente, per il resto non pervengono, sprofondano nei loro centri, nelle due chiacchiere che si fanno tra di loro, nelle gite sociali no tav, ritenendo al di sotto del loro alto compito in difesa della libertà presentarsi davanti alle fabbriche, agli uffici e alle scuole, negli spiazzi dei disadorni quartieri proletari, a esporre le loro idee e le loro intenzioni. In quei posti così disagevoli, così sordidamente popolari, non si palesa  nessun antagonista ma nemmeno nessun protagonista, ci vanno i neofascisti, non incontrano molta fortuna ma intanto sono gli unici che esistono in carne, ossa e voce, e se da quelle parti ci fosse un elettore ancora in vita, l’idea che esista qualcuno che voglia parlargli non solo nella specie di immagine televisiva o messaggio twitter ma nella realtà della materia, gli darebbe un certo conforto.

Il Secolo XIX, 18 febbraio 2018