Campagne elettorali

Giorni fa è venuto  a trovarmi un gruppo di ragazzi; non so berne cosa andassero cercando, credo che non lo sapessero con precisione neanche loro, di sicuro volevano fare domande a un  uomo che porta memoria di un’altra età del Paese dove vivono, di un un’altra cultura da quella che conoscono, di un’altra politica da quella che patiscono, di un altro modo di lavorare da quello che gli è imposto. Sono cuori candidi e generosi, inutilizzabili nel vigente sistema, buoni per essere macellati  finché sono ancora teneri nel mattatoio dell’ingiustizia e dell’umiliazione. Li ho ascoltati con attenzione e fra le molte cose una mi ha colpito in modo singolare, non parlano volentieri dei loro genitori, sul tema sorvolano con imbarazzo e sufficienza, quasi fossero orfani allevati dai loro nonni è di loro che parlano, e mi dicono che è da loro che traggono storie di vite che ha valso la pena di vivere, epopee di grandi ideali e lotte, e grandi vittorie e memorabili sconfitte, durissimo lavoro e indicibili gioie, la vastità del vivere che sentono sia a loro negata. Quando se ne sono andati ci ho pensato su un po’ e poi ho fatto una cosa inaudita, ho scommesso sulla rimonta dello stracotto, odiato, sbeffeggiato veterosocialista Corby alle elezioni britanniche di giovedì. Ho vinto qualcosuccia. Perché i ragazzi britannici sono come i ragazzi che sono passati da casa mia, sono come i ragazzi americani che pendevano dalle labbra del vecchio Sanders, e non ne possono più di quelle gatte morte ciniche e insignificanti dei loro genitori, ma adorano i nonni che hanno qualcosa di memorabile da dire perché la loro vita è memorabile, lo sono i loro ideali e ciò che per quegli ideali hanno saputo fare e patire; e così intendono continuare perché, predicano con un vigore che i loro figli ignorano, non c’è in serbo per gli umani solo il destino imposto dallo stato delle cose, ma anche un destino che possono creare con le loro mani e le loro teste e i loro cuori. Il Finalcial Time, che onestamente aveva dato il suo appoggio alla signora Mey, ha commentato l’esito più che deludente della sua performance  con queste parole: una campagna elettorale senza passione, senza gioia, senza speranza. Appunto.

Il Secolo XIX, 11 giugno 2017