Grandezza d’animo

Ho un amico che tra qualche giorno compirà cent’anni, due settimane fa ha perso il suo unico figlio, improvvisamente, tragicamente. Per andarlo a vedere un’ultima volta ha attraversato l’Italia, in treno, da solo, non ha voluto aiuto e noi pensavamo che non avrebbe potuto farlo, l’ha fatto, è andato e è tornato nella sua casa, dove vive da solo, per scelta caparbia e irremovibile. Pensavamo poi che non avrebbe retto al dolore, gli ho telefonato con l’angoscia di non riconoscerlo, di trovarlo disfatto, mi ha risposto e mi ha parlato senza lasciarmi fare domande, mi ha detto di non sentirsi disperato, che il suo impegno è di relativizzare il suo dolore perché ha coscienza di quanta parte dell’umanità non può permettersi nemmeno di provare dolore, e poi ora ha un gravoso impegno da assolvere, deve al più presto disfarsi dell’importante collezione d’arte che ha conservato come lascito per il figliolo e utilizzare il ricavato per sostenere come può quella parte di umanità. Ci siamo sentiti ancora, più volte, e non ho mai avvertito un cedimento, un mancamento o anche solo uno stemperarsi della coscienza dell’accaduto e di ciò che l’attende e a cui attendere; potrei pensare che ci sia dell’inumano in quell’uomo, nella sua fermezza, nella sua dirittura, nella sua letterale abnegazione, negarsi a se stessi, se non fosse che mio ha confidato una debolezza. Dalla morte di suo figlio, Carlo, non legge e non guarda più la televisione, perché “quello che non può leggere e vedere anche Carlo non esiste”. Padre e figlio vivevano distanti seicento chilometri, ma si sentivano ogni giorno e ogni giorno commentavano le loro letture, i loro studi, gli accadimenti del mondo.
Perché vi racconto questa storia nell’ultimo giorno dell’anno? Perché mi sembra una storia augurale, una storia piena di tragedia ma anche piena di attese vitali, una storia sulla grandezza dell’animo umano e colma di tenerezza per gli uomini. Che ci siano dunque risparmiate almeno le sofferenze più crude, che ci sia fatto dono di assomigliare, non tanto, solo un po’, al mio amico centenario.

Il Secolo XIX, 1 gennaio 2017