Ancora Referendum

E va bene, adesso andiamo a votare e facciamola finita, vada come vada sarà meraviglioso perdere. Ieri mattina, giorno del silenzio meditativo, ho ricevuto da un amico un messaggio di grande promettenza per il Paese, diceva: “dopo che per un mese io e la Gina -sua moglie- ci siamo scannati a dirci di tutto sul sì e sul no, stamattina abbiamo fatto l’amore”. Questo sì che è meditare per recarsi al seggio con animo conscio e sereno.  Una provvidenziale comunione di idee costituzionali tra me e mia moglie mi porta al seggio meno esausto e anche un po’ meno appagato, ma quasi svagato direi, finalmente leggero. A volte basta poco, a volte anche solo allungare lo sguardo aiuta a ridefinire l’orizzonte, e tornare a percepire con insperata chiarezza il senso delle proporzioni.  Credo che non lo sappia quasi nessuno, la notizia è giudicata dai media di nessuna rilevanza al cospetto delle attuali contingenze, ma tra un paio di settimane si svolgerà un altro referendum; un milione abbondante di lavoratori –cercate di focalizzare questa parola così inusuale- lavoratori metalmeccanici –focalizzate bene anche l’arcaica aggettivazione- decideranno se approvare o meno il contratto di lavoro appena concordato tra i loro sindacati e i loro datori di lavoro –si può dire anche padroni, almeno in famiglia. Non è una pagliacciata di referendum consultivo, questa volta è una cosa molto seria, vera, e se la maggioranza dei lavoratori dirà no sarà no, se dirà sì entrerà in vigore un contratto che dopo vent’anni hanno firmato insieme Fiom, Fim e Uilm. Dunque i sindacati esistono e svolgono persino un ruolo di non scarsa importanza, ma guarda. Se non bastasse, non è neppure un contratto al ribasso, di quelli “come mai come mai sempre in c. agli operai”, e ai lavoratori non mette in tasca solo un po’ di soldi ma anche servizi e opportunità, per sé e per la propria famiglia, dove per famiglia si intendono anche le convivenze. Da non credere. Le controparti –parola sana e onesta, da focalizzare anche questa- hanno lavorato a lungo e duramente, il risultato non è la rivoluzione ma un buon compromesso, che oggi come oggi è ancor più raro e prezioso di una rivoluzione. Certo, il fatto che non ci abbiano fatto mettere becco al ministro del lavoro ha facilitato di molto le cose, ma intanto grazie, davvero grazie, per questo miracolo delle buone ragioni.

Il Secolo XIX, 4 dicembre 2016