Nemici

La Repubblica si è impegnata a schierare soldati italiani alla frontiera baltica dell’Unione Sovietica, o della Federazione Russa che dir si voglia, cambia poco, che questi non è che ne hanno avuto a basta del crollo, e sono ancora lì con la paranoia di minacciare il mondo libero e di foraggiare la feccia del pianeta pur di darci contro. Finita l’età dei vuoti discorsi, la Repubblica il mondo libero lo difende con i fatti, e i fatti sono i soldati dell’Alleanza Atlantica con i missili e tutto il resto. La Repubblica andrà sul Baltico per una presenza di deterrenza metaforica, sarà appunto un gesto di stile, un segnale, chi vuol capire capisca. Gli esperti militari del mondo libero stimano il potenziale bellico degli alleati occidentali dieci volte superiore a quello russo, in effetti la storia della Russia minaccia globale mi suona un po’ stonata. Forse soffro di disfattismo -il disfattismo è la malattia incurabile del culturame- ma non colgo il principio di ragionevolezza nella necessità di spuntare gli artigli all’orso post sovietico prima che ci sbrani tutti quanti. Ma ascolto i discorsi del segretario generale dell’Alleanza e mi sembrano la parodia del dottor Stranamore. E vedo l’Alleanza che, finito il comunismo, non ha per statuto più niente da fare; ed è un problema, perché l’Alleanza è un tesoro di migliaia di miliardi investiti nell’unica industria che può dare una mano all’economia globale per un tempo indefinito, e ci vedo assieme un sacco di persone di grande potere che gestiscono quel tesoro. Chi mai si sognerebbe di chiudere la baracca? L’Alleanza ha provato a ricollocarsi nel mercato mondiale come esportatrice di democrazia, gli esiti sono stati assai poco attraenti e così è maturata l’idea di geniale semplicità di ripartire dal via, dal pericolo Russo. Detto fatto. La Russia non è un paese dove si è appena palesato il Messia, ma è governata con mano di ferro da un cinico e astuto uomo politico; quell’uomo non annovera tra i suoi molti difetti l’animo del servo, e dopo vent’anni di umiliazioni subite per purificarsi dal peccato mortale del comunismo –vorrei ricordare che il mondo libero è arrivato a teorizzare la criminalizzazione dell’economia e della politica come necessario passaggio alla democrazia- questa qualità piace a tal punto al suo popolo da renderlo popolare più di qualunque altro uomo politico del pianeta. Sarà difficile convincere quel popolo a sbarazzarsene, è difficile anche solo convincere il pianeta che la Russia non gli serve e lo imbruttisce e basta; ragion per cui il conflitto, vero, produttivo e ricco conflitto, assume la rassicurante sembianza dell’eternità.
Al sottoscritto questa notizia della ricostituzione ancorché metaforica dell’ARMIR, affascina da non dire; mi tornano alla mente i ricordi infantili dei racconti di mio zio Luciano, terribili e edificanti, angoscianti ma a lieto fine. Andarono i nostri soldati già un tempo alla frontiera russa, sembrava un’azione più che altro simbolica; prese invece una piega diversa, ma di bello ci fu che qualcuno tornò, non tanti ma qualcuno tornò, mio zio ad esempio. Con questo non si vuole fare confronti a dir poco irriverenti, ma, pensateci, siamo sempre lì, sempre lì, a menare in eterno il solito bisunto torrone che senza nemici non c’è pace.
Il Secolo XIX, 16 ottobre