Un golpe malriuscito?

La scorsa settimana ho scritto che il Parlamento della Repubblica ha unanimemente ritenuto legittima prerogativa gli insulti razzisti dell’onorevole Calderoli; non è vero, alla vergogna si opposero 45 senatori su 246, e questa “distrazione” non so perdonarla a uno come me che odia sentir dire che sono, siete, siamo tutti uguali. No, neanche i senatori sono tutti uguali. E intanto mi preme la Turchia, un paese che ho nel cuore.
Sono andato a Istanbul la prima volta nell’estate del ’72 e la prima cosa che ho visto e sentito passata la frontiera della Bulgaria è stata una 2Cv targata Milano da cui qualcuno mi gridava “c’è il colpo di stato, c’è il colera”. In effetti un po’ di colera c’era, giù nei quartieri del porto, e c’erano parecchi carri armati schierati già sul lungo rettilineo che porta in città. Sono stato un mese a Istanbul, allora come oggi la città era piena di giovani di tutto il mondo, allora molto più freak di oggi, e l’unico ricordo angosciante è di un Leopard che sbaglia manovra e di un furgoncino ne fa una frittata. Sono tornato nell’80 e di Leopard erano ancora intasate le strade, se ne incontrava anche sulle carraie dell’Anatolia, ma non mi ricordo di nessun  incidente, e l’idea che ci fosse un colpo di stato in atto era remota e astratta. C’era stato Il Cile, e la Grecia, e l’Argentina, quelle erano storie di orrore e di terrore, non quello che vedevo in Turchia. Con il tempo ho avuto diversi amici turchi, il padre di un mio traduttore era un alto ufficiale, che mi hanno spiegato come i militari del loro paese fossero, per fondazione, statuto e vocazione, una élite non solo bellica, ma anche culturale e politica, che non erano assetati di sangue e nemmeno di potere se non nel mandato che si attribuivano di sentinelle della repubblica e dei suoi ideali fondanti, piacessero o non piacessero ai miei amici. E ora guardo a questo golpe così malfatto e mal riuscito, a questa élite bellica così distratta che si dimentica della Marina, così inane da non tenere la piazza nemmeno un giorno, così culturalmente fragile da non riuscirte a dire una parola intellegibile al suo popolo, così politicamente inetta da risultare solo efficace nel rafforzare ciò che intendeva abbattere, e l’unica cosa che mi viene in mente è che ciò che rimane dell’Europa, e dunque di me, è avvinto con accordi, trattati, promesse e una massa enorme di denaro, a un Paese che vedrà come attività principale da qui ad libitum l’esercizio della personale vendetta, è annunciata tremenda, di un sultano senza gloria contro i suoi nemici, ogni genere di nemico, e l’esercizio della sua personale rivincita su ogni genere di élite, passata, presente, futura.
Il Secolo XIX, 24 luglio.