Il voto del proletariato

Hanno fatto i conti e sono arrivati all’amara constatazione che per vincere i ballottaggi e prendersi i sindaci delle grandi città, il PD ha bisogno dei voti del proletariato. Seppur straordinariamente cospicua in quantità, abbastanza da determinare l’elezione del  sindaco, data la sua scarsa o nulla presenza nella vita sociale del Paese il proletariato è una categoria poco nota al grande pubblico. Per riassumere, i membri di questa categoria, o classe, si distinguono storicamente per la peculiare condizione di non possedere nulla se non la propria prole, da qui il nome. Attualmente la definizione ha subito una piccola ma significativa variante, il proletario è colui che non possiede nulla se non, ma solo in quantità ridotta, dei figli. Siccome homo sine pecunia est imago mortis, il proletario non gode di buona immagine e non è considerato soggetto adatto a ben figurare in pubblico se non in occasione di riprese in esterni che richiedano la presenza nei campi lunghi di figuranti in massa. Ottenebrato dalle sue primordiali necessità, il proletario non è intellettualmente predisposto a correttamente comprendere argomenti complessi e articolati, quali l’attuale quadro economico mondiale, le sinergie trasformistiche del sistema politico e istituzionale, e similari. Per queste ragioni e per altre di carattere essenzialmente pratico, quali la conservazione del patrimonio abitativo di pregio dei centri intramurari, si è collocato il proletariato nelle cinture urbane periferiche, quali borgate, lande e borghetti. È lì che i candidati del PD al ballottaggio dovranno andare a conquistarsi la fascia tricolore. Non sarà impresa facile, bisognerà innanzitutto superate barriere culturali, troppo distanti e difformi infatti  sono le storie, le lingue, i costumi degli uni e degli altri, tali da generare ormai radicate diffidenze reciproche. Consiglierei l’offerta di doni augurali, quali calzature sportive, capi di abbigliamento, confezioni di pasta alimentare, in special modo bucatini, ziti e maccheroni, sempre graditissima dal proletario.

Il Secolo XIX, 13 giugno 2016