La stessa morte

Nel gennaio del 1894 le Apuanee si incendiarono dell’ultima rivoluzione del XIX secolo. I cavatori scesero dalla montagna, occuparono il sazio e andarono alla conquista delle città di Carrara. Erano armati di qualche fucile da caccia e degli strumenti del loro mestiere, furono fermati dalla mitraglia dei soldati di Crispi e in tre giorni la partita fu chiusa; restarono aperti, per anni, solo i processi, furono comminati ergastoli e centinaia di anni di lavori forzati. In verità non chiedevano molto, il lavoro, come sempre, la riduzione delle tasse sui pane, e stazioni di sanità nelle cave. Questo non l’aveva mai chiesto nessuno, ma il loro era il lavoro più pericoloso che si conoscesse, metà dei cavatori finiva la sua carriera mutilato, spesso gli infortunati morivano dissanguati per il mancato soccorso. Fecero sciopero e non ottennero niente, allora decisero di tentare di prendersi tutto, e finirono mitragliati o in galera. Ma il pronto soccorso lo ebbero, all’alba del nuovo secolo. Lo scorso inverno mi è stato chiesto di sceneggiare questa storia e ho iniziato con il descrivere l’incidente mortale che diede l’avvio allo sciopero, è la cronaca di ciò che è accaduto giovedì alla cava Colonnata, il crollo, i due morti sotto la frana, il sospeso sulla parete, tale e quale. Perché dopo cento anni tutto nelle cave è cambiato, compreso il fatto che si guadagna di più con il carbonato per i dentifrici che con i blocchi per le statue, ma come si muore no, i cavatori muoiono sempre allo stesso modo, e per le stesse ragioni. E nei porti e nei cantieri tutto è cambiato ma non che a un certo punto qualcuno ci muore. Forse è per questo che i morti di Colonnata non son stati una gran notizia in questi giorni, capita spesso. Negli stessi giorni è stata un gran notizia la tragica morte di un imprenditore e innovativo leader politico, forse perché di uomini così ne muoiono pochi, forse perché ci sono vite grandi e vite piccole. Come se al primo mattino, quando si alza un muratore o un cavatore, non posasse gli occhi sul mondo un principe, un signore.

Il Secolo XIX, 17 aprile 2016