Adozioni: il dibattito in corso

Da due settimane la gran questione delle Unioni Civili con i loro annessi e i loro connessi è volta a volta la prima o la seconda notizia di questo giornale e di ogni altro media del Paese. È una gran bella cosa perché vuol dire, o dovrebbe dirlo, che una volta tanto il Paese lascia perdere la minestra e chi se la sta rubando, non che sia cosa da poco s’intende, ma sta discutendo con grande animo di idee e valori etici e civili. Tra gli annessi delle Unioni Civili la parte che dà maggiore foga alla discussione è senz’altro il tema della Stepchild adoption, ahinoi non si riesce a dirlo in lingua patria ma so che tutti quanti ormai conoscono e comprendono. Se ne parla dappertutto, nelle case, e da tempo nelle case non si parlava, e persino nei licei, questione di giorni e se ne deve deliberare in parlamento. Ognuno ne ha una sua ferma opinione, pochissimi ne hanno esperienza, una minuscola frazione ne ha informazione attendibile; ad ascoltare le fantasiose opinioni di molti onorevoli senatori pare che gli stessi legislatori ne siano stati colti di sorpresa. La Stepchild adoption e la famiglia omogenitoriale sono in effetti materia molto studiata, oggetto di ampie e approfondite ricerche sul campo da almeno un ventennio, ma non qui da noi, bensì là dove si è già deciso e deliberato da tempo. Qui da noi siamo rimasti un po’ indietro, e a qualcuno sembra anche una buona cosa per via degli stretti legami dell’ignoranza con la tradizione, ma c’è anche chi avrebbe voglia di saperne e capire, e allora cerca, legge, ascolta. Il fatto è che non trova un granché; perché, per qualche ragione che mi sfugge, i media vanno pazzi per le notizie e i commenti delle  notizie, ma si ritraggono all’idea che gli spetterebbe anche di dar modo che si capisse in dettaglio di cosa si va informando e opinionando, come se quello di offire al pubblico strumenti perché le opinioni si facciano argomenti fosse un lavoro troppo noioso, o inopportuno. Faccio un esempio
La notizia di prima pagina di giovedì sul tema delle Stepchild adoption è una frase virgolettata: “Non si può escludere che convivere con due genitori dello stesso sesso non abbia ricadute negative sui processi di sviluppo psichico e relazionale nell’età evolutiva” Questo ha dichiarato il presidente della Società Italiana di Pediatria, Giovanni Corsello, un’autorità che ha ben da dire la sua. Vi chiedo ora un po’ di attenzione. Rileggete la frase, poi leggete la seguente: “Non si può escludere che convivere con due genitori di sesso diverso non abbia ricadute negative sui processi di sviluppo psichico e relazionale nell’età evolutiva”. Questa dichiarazione invece la faccio io. Rileggetela. Dico forse una fesseria? Certo che no, come si fa a escludere una ovvietà del genere? Che dei figli di una coppia formata da un maschio e una femmina possano, non debbano ma possano, avere dei problemi è un’esperienza di tutti i giorni. Ma neppure si può dar torto al professor Corsello, è ovvio che anche i figli di una coppia omo possano, non debbano ma posano, avere dei problemi. Infatti è un’ovvietà, e un’ovvietà non è una informazione, è una nullità. Chissà perché il niente diventa una notizia. E ora sottopongo alla vostra considerazione le seguenti sigle: American Psychological Association, American Psychiatric Association, British Psychological Society, American Association of Child and Adolescent Psychiatry, American Academy of Pediatrics. Ne avete mai sentito parlare, ne avete mai letto? Forse no. Ma sono enti e le associazioni scientifiche che, tra le altre loro attività, conducono da decenni studi e ricerche sulle famiglie omogenitoriali. Gli esiti del loro lavoro sono documenti ufficiali di pubblica consultazione, ma se mi credete, sono a comunicarvi che tutti ribadiscono l’assenza di rischi neuropsichiatrici nelle famiglie omogenitoriali. Traduco a mo’ di esempio le conclusioni dello studio trentennale dell’American Academy of Pediatrics, diciamo così la sorella americana della Società Italiana di Pediatria, pubblicato il 20 marzo 2013 in cui ribadisce le conclusioni di una ricerca pubblicata nel 2006 (Pawelski et al., 2006):
«Adulti coscienziosi e capaci di fornire cure, siano essi uomini o donne, etero o omosessuali, possono essere ottimi genitori […] Nonostante le disparità di trattamento economico e legale e la stigmatizzazione sociale, trent’anni di ricerche documentano che l’essere cresciuti da genitori lesbiche e gay non danneggia la salute psicologica dei figli e che il benessere dei bambini è influenzato dalla qualità delle relazioni con i genitori, dal senso di sicurezza e competenza di questi e dalla presenza di un sostegno sociale ed economico alle famiglie»
Vi ho forse somministrato il Verbo? No. Avessi più spazio e voi più pazienza potrei riempire questo giornale con la massa di documenti che mi sono costati una settimana di ricerche, non un anno, una settimana, ma avrei comunque  solo cercato di portare non una opinione ma un argomento. Al mio argomento si può rispondere con altri argomenti, qualora ve ne fossero e ci fosse chi avesse voglia di andarseli a cercare, ma argomenti fatti di dati, di nomi e cognomi, di biografie, non ovvietà. Il fatto è che se dovessi attenermi al tono del dibattito in corso in parlamento, ciò che dovrei aspettarmi è l’argomento principe: ma quale studi, quella è tutta roba dell’internazionale gay. Anzi, dell’internazionale frocia, come usano più correttamente esprimersi gli onorevoli della tradizione.

Il Secolo XIX, 8 febbraio 2016